Monaco è così: si imbelletta quando dice lei. Indossa il vestito migliore e ti dice guardami. Non lo fa sempre.
Di solito è una città da pigiama e scarponcini e una cassa di birra presa di corsa sotto la neve prima che arrivi la domenica e tutto muoia. Muoiono i negozi, muore la gente. La domenica la gente chiude la celletta della propria casa e se ne sta appollaiata a scolarsi una cassa di Paulaner Weißbier. Rigorosamente quella, oppure un’altra ma comunque bavarese, che non c’è birra più buona di quella bavarese. Me lo diceva sempre Albert. Comunque, quelle sono le giornate migliori, perché sono giornate silenziose. Quando questa città si imbelletta, invece, è sempre un tradimento, un obbligo a uscire, a fare qualcosa: una grigliata nel giardino, una passeggiata sulle montagne, una nuotata al lago, un brunch in qualche caffetteria. Io non esco, mi oppongo a questa felicità comandata, a questo obbligo a fare per forza rumore. E io odio il rumore. Soprattutto da quando Albert non c’è più. Perciò me ne sto a casa, non esco, e da casa mi tocca sentire i vicini, quelli della palazzina a fianco, in particolare. Sono tutti stranieri, di là. Scheiß Ausländer, direbbe il mio Albert se fosse qui. Gli Ausländer fanno sempre rumore: anche quando parlano urlano. Devono per forza. Nelle case degli Ausländer c’è sempre un sacco di confusione. Una confusione che in giornate come queste dilaga anche fuori, con i bambini che giocano e urlano fino a tardi col pallone. Il pallone, questo maledetto pallone. Pure oggi l’hanno fatto finire nel mio giardino. Oh ma no, oggi io questo pallone proprio non glielo do. Fammelo prendere, fammelo bucare, tiè, e poi nell’indifferenziata. Così ecco. Ci mancava poco e finiva sui miei pomodorini. Ah i pomodorini che Albert amava. Li coltivava lui, un tempo. E adesso che non c’è, lo faccio io. Ad Albert ricordavano le estati passate a Lazise, a me ricordano lui. L’Italia è proprio bella, diceva, proprio come te. Lui confondeva l’Italia con me, anche se in me è rimasto ben poco d’italiano.
«Guten Morgen, Frau Weber.»
«Guten Morgen, Frau Turi.»
Fammela salutare bene la Frau Turi, metto la mano così, a coppa, winke winke, ciao ciao, sorrido, guarda come sorrido bene, io sono la Frau Weber, guardami Frau Turi, sì così, guarda che nonnina dolcina che sono, sembro la regina Elisabetta. Uno. Due. Tre. Quattro. Quattro pecore di figli. Cristo, come si fa nel 2024 a fare ancora tutti questi figli? Questa gente è attaccata a un retaggio che ignora la sovrappopolazione, ignora la crisi climatica, lo spreco. E che spreco pure l’auto. Eccola la Frau Turi che chiama a raccolta le quattro pecore che ha e le fa salire sulla Bmw. Cristo, una Bmw, che cafonata. Sono rimasti solo lei e i turchi a guidarla. Questo quartiere non è più lo stesso. Una volta era tutto pulito, tutto ordinato, ora invece sembra di essere alla stazione di Frankfurt, ma non sono solo le auto cafone, eh, sono soprattutto quei loro modi, quei modi rumorosi, da padroni a casa degli altri. Ehi Frau Turi, tiè. Vorrei proprio farglielo il dito medio, vorrei proprio dirglielo che se non fosse per il marito, lei stava ancora a Hasenbergl in qualche casa popolare col sussidio nostro. Sulle spalle nostre portiamo loro e portiamo pure quei buoni a niente degli Ossi, sono ancora aggrappati al muro di Berlino, quelli, me lo diceva sempre Albert. Il marito della Frau Turi è pure lui un Ossi. Si salva solo perché è un ingegnere. Lavora alla MAN. Proprio come il mio Albert, il mio buonissimo e laborioso Albert. Perché la Frau Turi non sale in auto? Mi sta guardando, mi sorride, mi fa winke winke. Che vuole questa adesso? «Frau Weber, hast du eine Ball gesehen, bei dir? Die Kinder haben die Ball bei dir geschmissen.» Cristo come parla male il tedesco. È da vent’anni qui e ancora non sa mettere due parole in croce. Da come parla, da quella «r» rollata come una cafona, si capisce subito da dove viene. Altro che il mio tedesco, il mio bellissimo tedesco di una tedesca. Dico alla Frau Turi che qui non c’è nessun pallone, come può vedere. Adesso mi preparo anche una bella faccia contrita, una faccia dispiaciuta e patetica. «Es tut mir Leid» mi dispiace, dico. Mi metto anche una mano sul cuore. Sì, così, guarda che nonnina dolcina che sono. Sono tanto dolce che la Frau Turi si scusa con me. Sì, brava, scusati. «Wir machen Grill heute, kommst du vorbei wenn du willst» neanche morta ci vado alla sua grigliata. Ma la devo ringraziare, ecco fammi sfoggiare il mio sorriso migliore, il mio sorriso più grato, «Vielen lieben Dank für die Einladung, bin aber schon verabredet» dico che ho già un appuntamento. E non dico una bugia. Ho davvero un appuntamento. Saluto la Frau Turi, dico che ho da fare. Anche questo è vero. Devo sbrigarmi. Torno in casa, una casa tutta bella in ordine, silenziosa. Lo specchio, c’è una macchia sullo specchio, maledizione, ecco così una strofinata delicata ma decisa e la macchia non c’è più. Nessuna macchia, proprio nessuna. Una sistemata pure al grembiule, che adesso ho da finire di cucinare. Oggi è un giorno speciale. Anche se fuori c’è il sole e quel sole è un tradimento. Oggi è il compleanno del mio Albert. Ah caro Albert. Dove ho messo la foto di lui da giovane? Ma non era qui, sul mobile rosso? Cristo, dove ho la testa, eh Albi? Dove ho la testa, me lo dici tu? No, tu non puoi dirmelo. Ma me lo dirai presto. Ne sono sicura. Allora, riepilogando: il Sauerbraten è in cottura, l’impasto per le Spätzle è pronto e l’acqua è a bollire, che tra poco Albert dovrebbe arrivare. Albert è uno puntuale. Lo è sempre stato, il buonissimo Albert. Gli sto preparando il suo piatto preferito: Sauerbraten con Spätzle. Non stiamo più insieme, certo, ma io lo aspetto comunque a ogni compleanno. Sì, lo aspetto. Anche se mi ha lasciato. Lui dice perché non mi amava più, ma io non gli credo, non gli ho mai creduto. Diceva per dire. Invece se n’è andato con una tedesca più giovane. Schlampe. Ah ma io lo so che non è colpa sua, è troppo buono, il mio Albert. Si è fatto prendere dal momento. Chi vuole stare con una Ossi del cazzo. Sì, una Ossi Schlampe del cazzo, che è venuta in casa mia e si è presa il mio Albert. Il mio Albert che prima amava così tanto l’Italia perché amava me che ero italiana e adesso non lo sono più. Oh no, io sono tedesca adesso. Adesso sono la Frau Weber. E sono meglio della tedesca Ossi Schlampe, anzi diciamolo bene, in italiano, che rende meglio, diciamo: puttanella. Puttanella sì, questo lo dico tra me e me, non lo dico ad alta voce. Ad alta voce io mi esprimo solo in tedesco, con educazione, con calma, senza urlare. In un tedesco dalla dizione perfetta, che però posso anche rimodulare un po’, posso virare verso il bavarese, basta mangiarsi qualche vocale. Il suono è un suono barbaro, ma è il suono che faceva Albert quando ancora abitava questo luogo, abitava la nostra vita insieme. Un giorno è bastato che mi dicesse me ne vado perché io smettessi di parlare italiano, smettessi di vestirmi da italiana, di essere italiana. Un attimo prima ero la signora Madeo un attimo dopo sono diventata la Frau Weber. Anche se io Frau Weber non lo sono stata mai, non per lo Stato tedesco, non per la posta tedesca. La posta mi arriva ancora a nome Madeo, anche se sul citofono quel nome l’ho cancellato, l’ho sostituito con Weber. Il postino però lo sa che Madeo sono io, e mi lascia lo stesso la posta indirizzata alla signora Madeo. Sono le tredici e dieci, e Albert ancora non c’è. Avrà trovato traffico, la A95 è un inferno a quest’ora e con questo tempo. Tutti in auto in direzione Starnberger See. Povero Albert, ah Albi mio. Per fortuna che tra poco sarà qui. Pranzeremo insieme, in silenzio. Che al mio Albert non è mai piaciuto parlare. Ad Albert non piacevano un sacco di cose. Per esempio non gli piaceva come mi vestivo, non gli piaceva cosa cucinavo, troppo italiano, mi diceva, non gli piaceva neanche quando parlavo in italiano. Mi diceva di abbassare la voce, «sei nicht so laut», mi diceva, non essere così rumorosa. Eccolo che suona, è lui. Deve essere lui. Fammi vedere: come sto?, molto bene: la camicetta col colletto, tutto sistemato, tutto ordinato, tutto silenzioso come piace al mio Albert. Albert, e un attimo. Non essere così insistente. Non c’è bisogno di suonare così. Sto arrivando. Adesso arrivo arrivo.
«Guten Morgen, Frau Madeo.»
Strepitoso 👏🏻