Padre, miracolo, cane

Ogni volta che mio padre tornava dall’ospedale, il nostro salotto puzzava di chimico fino a che i suoi reni non riuscivano a smaltire ogni molecola. Lasciavamo la televisione accesa tutto il giorno per fargli compagnia, mentre il divano si impregnava di Propofol. Lui, che in altri momenti avrebbe fatto zapping imprecando per la qualità della programmazione, ormai non era neanche più in grado di mettersi a cercare il telecomando.
Quella sera lo schermo era fisso su un improbabile canale religioso. Verso le dieci, ci chiese di portarlo a letto. Quando mia madre, dopo averlo sistemato tra i cuscini, gli parlò sottovoce, in quella che arrivava alle mie orecchie più come una reciproca resa che una promessa di guarigione, tornai da sola davanti alla televisione per parlare con Dio.

Sembrava che con un piccolo investimento – dai nove e novantanove delle medagliette, ai più di cento euro delle Bibbie illustrate – fosse possibile portarsi a casa un pezzo di Lui. La suora che presentava le offerte proponeva per l’occasione una Madonnina che si illuminava al buio. Per le prime trenta telefonate, era previsto anche un ventaglio in omaggio.
«Siamo appena partiti e rimangono solo ventotto Madonnine!» urlò estasiata, con il velo che le si stropicciava sulle spalle.
Mia madre, dalla camera da letto, chiedeva di abbassare il volume. Non si sarebbe sentito il respiro di papà, altrimenti. Non si sarebbe sentito se papà continuava a respirare, intendeva dire.
«Dalla regia mi dicono che siamo a quota ventidue, occorre affrettarsi!»
La mia mano andò verso la tasca della tuta che indossavo. Composi il numero senza nemmeno guardare lo schermo del telefono; in sottofondo, mia madre mi chiedeva di nuovo di abbassare.

A metà settimana, di ritorno da scuola, trovai il pacco appoggiato sul tavolo del soggiorno. Era più piccolo di quanto mi aspettassi e mi fiondai subito in bagno per scartarlo. Cominciai a togliere lo scotch, con le dita che tremavano nel raggiungere il cuore del mio santuario di cartone. All’interno, non trovai alcun ventaglio, ma la Madonnina emetteva davvero una flebile luce, come una torcia scarica o una lucciola che vola tra i fili d’erba. La ispezionai per accertarmi che fosse integra, tornai in soggiorno e la nascosi nella libreria.
Chiusi le ante e vidi mio padre in piedi, riflesso nei vetri degli scaffali. Disse che il riposo dei giorni precedenti gli aveva fatto bene, che si sentiva di buon umore e che si era stufato di stare a letto. Recuperò il telecomando e si lasciò cadere sul divano. È l’ora del rosario, si sentì risuonare una volta acceso il televisore.
«Sei tu che guardi questa roba?» mi chiese secco.
Una signora con un maglione rosa a fiorellini sorrideva e invitava a unirsi a lei. Mio padre, però, si accanì sul telecomando e cambiò in successione una serie di canali fino a fermarsi di colpo, rapito dall’apparizione di due donne in bikini.

«È il canto del cigno» mi scrisse la mia migliore amica più tardi. «Quella cosa che succede alla gente un attimo prima di crepare. L’illusione che si stiano per riprendere, prima che arrivi il crollo definitivo.»
Mi chiedevo perché dovesse esistere una cosa del genere e perché fosse proprio lei a volermelo dire.
«È così e basta, Francesca» rispose chiudendo la conversazione.
Mi chiamava “Cicci” quando uscivamo insieme troppo truccate e con la gonna troppo corta; “Fra”, quando a scuola chiedeva di sbirciare il foglio dei miei compiti; “Franci”, quando voleva davvero essere affettuosa. Il suono duro del mio nome usato per intero era forse l’unico che potesse accompagnare un’informazione così violenta?

Passai il resto del pomeriggio a prepararmi alla fine ma, una volta arrivata sera, mio padre ci fece sapere che aveva fame.
Io e mia madre non ricordavamo nemmeno più l’ultima volta in cui era riuscito a mangiare cibo vero. C’è una lista di alimenti che danno ai parenti dei terminali quando cominciano le prime difficoltà con la deglutizione, ma l’avevamo infilata in qualche cassetto, rassegnate ormai alla sua inutilità.
Una volta a tavola, lui cominciò a riempirsi il piatto di roba.
«Forse dovremmo avvertire l’oncologo» suggerì mia madre a bassa voce. «Non credo ti faccia bene.»
Cercai lo sguardo della Madonnina che faceva capolino tra una copia di Moravia e una di Harry Potter.
«Sai qual è la parte più difficile nel mangiare un vegetale?» chiese di rimando mio padre. «Rimetterlo sulla sedia a rotelle.» Scoppiò in una risata così cavernosa che per un attimo pensai che stesse per strozzarsi.
Prese poi un pezzo di pane e scansò la mano di mia madre che, preoccupata, lo invitava a moderarsi.
«Un prete cammina su una collina e a un certo punto nota un bambino che piange mentre guarda giù da un dirupo. “Perché piangi?” chiede il prete avvicinandosi. Quello guarda giù e punta il ditino, indicando un ammasso di lamiere. “In quella macchina c’erano i miei genitori” dice singhiozzando.» Si strofinò gli occhi con le mani chiuse a pungo, come per asciugarsi delle finte lacrime, ma a stento tratteneva le risate. «Il prete allora si allenta il colletto, si inginocchia, mette una mano sulla spalla del bambino, sorride e gli dice: “Non è proprio la tua giornata fortunata, eh?”.»
Un pezzo del suo cibo masticato gli volò dalla bocca per finirmi sul dorso della mano.
«Ne volete ancora?» ci chiese mentre si allungava verso un altro pezzo di pane. Lo spezzò e puntò il dito verso di me. «Tu hai proprio la faccia di una che ne vuole ancora. Sai cos’è un esorcismo al contrario?»
Non risposi, mentre il dito rimaneva puntato in direzione del mio viso. Il sottotono giallastro che avevano avuto le sue unghie per tutte le settimane precedenti aveva lasciato spazio a una rinnovata sfumatura di rosa acceso.
«Ti lascio riflettere» disse continuando a ingozzarsi. «Il piccolo Johnny torna a casa e chiede a sua madre come nascono i bambini. “La cicogna”, dice la madre. Il piccolo Johnny ci pensa su e poi chiede: “E chi si scopa la cicogna?”» Accompagnò la battuta sbattendo la mano sul tavolo, compiaciuto.
Avrei voluto correre a tappare le orecchie alla Madonnina, temendo che le offese le avrebbero fatto passare la voglia di salvarlo.
Finimmo presto la cena e mio padre tornò a letto. Lo sentivamo russare, un rumore che avevo dimenticato, sostituito dal recente rantolo del suo respiro.
«Gli ha preso il cervello» disse mia madre, passandomi un piatto da asciugare. «Ti ricordi? Ci avevano detto che sarebbe potuto succedere. È che non pensavo ci saremmo arrivati.» Mia madre si fermò con un bicchiere insaponato a mezz’aria. «Eravamo così pronte, capisci? Adesso non so se io lo sono più.»

Più tardi, entrammo in camera e ci sedemmo sul bordo del letto con gesti cauti, ma mio padre si svegliò lo stesso.
«Siamo noi» disse mia madre per non farlo agitare.
«Io e la mamma» aggiunsi per rafforzare il concetto.
Lui si mise seduto, con un’espressione confusa. «Mia moglie non è così brutta. E fate scendere quel cazzo di cane dal letto» aggiunse indicandomi.
«È Francesca» gli spiegò lei con dolcezza.
«Beh, Francesca,» replicò lui «se vedi mia figlia, dille che un esorcismo al contrario è quando il demone dice al prete di uscire dal bambino.» Ricominciò a ridere in un modo grottesco che non gli apparteneva.
Uscii di corsa dalla stanza, con la sua risata che mi perseguitava. Sprofondai sul divano, afferrai il telecomando e cercai per l’ultima volta quel canale. Una nuova suora stringeva il ritratto di un santo che non conoscevo e che mi sarei potuta portare a casa per dodici euro e cinquantanove centesimi.
«Coraggio!» diceva. «È una tiratura limitata!»
Non avevo nemmeno acceso il lampadario per permetterle di manifestarsi, ma la Madonnina nella libreria non emetteva alcuna luce. Dalla mia posizione, avrei persino giurato che si fosse dileguata. La risata di mio padre mi arrivava alle orecchie sempre più violenta e mia madre, per sovrastarla, urlava di abbassare il volume e tornare da lei. Mi alzai e spensi la televisione, forse augurandomi che non ci fosse più nessuno ad ascoltare le mie preghiere.

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