Fisso il sangue che imbratta Aiace. Sul fianco, sotto l’incavo ascellare, la lama apre un taglio che si slabbra. Penso ai buoi sacrificati al tempio.
Alla lama che si curva sul collo e al sangue che schizza esplodendo sulle vesti bianche delle officianti.
Il sangue scurisce, il corpo è carne verdastra nella notte che incombe quieta. Eurisace si avvicina al cadavere. Con la mano sfiora la spada di Ettore con cui il padre si è infilzato. Fissa la ferita, il buco, la penetrazione. La punta della spada che apre un’altra fenditura e sbuca dalla spalla macilenta. Ritrae la mano, mi guarda come fanno i cani dopo che il padrone ha tirato loro un sasso.
Distolgo lo sguardo e mi concentro sulle voci degli uomini intorno. Di coloro che comandano sulla pianura e sul mondo.
Agamennone e Menelao vorrebbero lasciare il corpo agli uccelli. Immagino i corvi che arpionano brandelli di carne.
Mi avvicino a Eurisace, gli copro le orecchie con la veste.
Non dico niente. Il dovere delle schiave è farsi pietra, quando parlano i padroni.
Posso almeno tenere mio figlio stretto, giusto il tempo che ci vuole per le decisioni importanti.
Odisseo persuade tutti. L’eroe verrà sepolto e riceverà i riti funebri. Via i corvi, dunque. Via l ’uncino dei becchi. E il corpo di Aiace che si fa mangime.
Agamennone e Menelao ci hanno messo un po’ per convincersi. Se Atena non l’avesse fatto impazzire, Aiace li avrebbe fatti tutti a pezzi.
Quando il brusio svanisce, e l’accordo è stipulato, rimango sola con Teucro. È un uomo sottile. Mi guarda con occhi che conosco bene. Hanno dentro la luce feroce dei padroni che scrutano i servi.
Abbasso la testa. È un gesto a cui non posso sottrarmi. Eurisace mi stringe i fianchi sotto la veste.
«Dormirai nella tenda di mio fratello, stanotte», ordina Teucro.
Alla vista di Aiace morto, mi sono gettata al suolo e ho impastato i capelli con la terra e il sangue. Gli uomini, anche i più valorosi, rifuggono ciò che sta in basso.
«Che cosa ne sarà di me?» Domanda Eurisace mentre mi stringe la pancia.
«Ci penserò io». Teucro sventola una mano e indica la mia veste. Sapevo che cosa fare. Mescevo il vino. Sorridevo sopra il bordo della coppa e, chinandomi, gliela offrivo. Mi piegavo in avanti in modo che la luce della torcia tremolasse sulla scollatura.
Teucro si allontana, io mi trascino e arranco fino alla tenda di Aiace. Mi tocco i capelli incrostati e ne aspiro l’odore ferroso. Il freddo della notte è un sollievo. Per un attimo ripenso al lungo fiume della Frigia. Al palazzo di mio padre e al sole che arrossava la pietra dei templi. Allora amavo osservare il fiume o correre verso il mare. L’acqua mi faceva immaginare le terre che non conoscevo. Credevo che un giorno sarei andata a Troia e che avrei sposato il figlio più bello del re. Non sapevo nulla dell’amore e del sesso.
Eurisace, aggrappato alla veste, mi strattona.
«Che cosa c’è?»
«Perché mio padre è morto?» Tira su col naso. Non è che un bambino.
«Sarà ricordato come uno degli eroi più grandi della storia».
Lo abbraccio. Ci infiliamo svelti dentro la tenda illuminata da una torcia.
L’odore di Aiace persiste. Sudore e sperma. Esausta, crollo sul giaciglio.
Eurisace singhiozza e si asciuga gli occhi con le mani.
«Non devi piangere», gli dico togliendomi il fango dai capelli con le dita imbrattate di sangue. «La gloria è il dono più grande per un uomo».
Eurisace annuisce. Mi si avvicina e si abbandona a una stretta potente. Lo cullo finché non si addormenta. Finché io stessa non chiudo gli occhi.
A un tratto, un peso feroce mi schiaccia le gambe e il petto.
Prego con tutto il cuore che sia Aiace. Nonostante il dolore. Nonostante lo senta dentro come una spada nella carne.
La torcia è spenta. Non distinguo bene. L’uomo si muove sopra di me con l’urgenza di un bisogno qualsiasi. Spinge veloce.
Quando finisce e si stacca, mi mordo il labbro e stringo i denti.
«Dov’è Eurisace?» allargo le dita e le muovo incerta come fanno i ciechi.
Teucro è in piedi, lo sento muoversi nel buio. «Te lo avevo detto che ci avrei pensato io».