Quella mattina una coppia di turisti norvegesi aveva chiesto, insieme a qualcosa da bere, una tagliata di frutta fresca. Non appena la cameriera innamorata finì di appuntare l’ordine sul bloc-notes in cucina, lo chef strabico attaccò con i capricci.
La tagliata di frutta fresca gli dava sempre un’incredibile noia, ma rivelava alla cameriera innamorata alcune cose indescrivibili. Tutto cominciava dalle mele.
La base pratica del bianco era la tela su cui si faceva spazio il pizzicare del kiwi, le parentesi comiche, aperte e mai davvero chiuse, degli spicchi d’arancia. L’ananas era il tocco di acidità in una conversazione qualsiasi, le albicocche erano dolcezze dissimulate fino all’ultimo.
La composizione aveva un’aria del tutto equilibrata, quasi prudente, affinché nessun significato scivolasse dal piatto per errore. Poi, però, arrivava il turno dei mirtilli. Lo chef strabico li spargeva pericolosamente, come frivoli pois, su tutto il resto. I mirtilli erano la promessa blu-scuro che, dopotutto, qualcosa di stupido e divertente sarebbe accaduto.
Così pensava la cameriera innamorata mentre camminava verso il tavolo della coppia di turisti norvegesi, che, per un momento, sembrò davvero impressionata da quel che veniva servito, qualsiasi cosa fosse.
Quando la cameriera innamorata si girò di spalle, però, le mele tornarono a essere nient’altro che mele, e anche gli spicchi d’arancia persero tutto il loro senso dell’umorismo. Persino delle promesse blu-scuro dei mirtilli non rimaneva niente, se non una poltiglia antiossidante tra i denti dei due estranei.
Una volta lo chef strabico le aveva detto che la sua vera vita iniziava nel momento in cui finiva il suo turno di lavoro. La cameriera innamorata non credeva fino in fondo a quelle parole, e si consolava pensando che anche i due turisti, al pari dei mirtilli, presto sarebbero spariti senza lasciare alcuna traccia, a bordo di un aereo diretto a Oslo.