Iggy è un beagle di tre anni e guarda il suo padrone in modo strano ogni volta che lo sorprende a masturbarsi; cosa che ultimamente accade sempre più spesso.
Anche stavolta il cane è fermo sull’uscio del bagno e lo fissa, con un sopracciglio alzato e l’aria interrogativa. Resta immobile per qualche secondo, poi fa dietrofront e se ne va.
Con un pezzetto di carta igienica, Leonardo toglie una gocciolina di sperma superstite dalla punta del pene, poi apre il rubinetto della doccia e, mentre l’acqua si scalda, si guarda allo specchio. Ripete il discorso ancora una volta. Grazie alla sega si sente molto meglio, più sicuro di sé. Dopo essersi asciugato, prende dall’armadio una camicia bianca, una giacca grigio scuro e un paio di jeans neri.
Scendendo le scale con Iggy al guinzaglio, ripensa a tutto quello che è stato. La primavera si affaccia timidamente sui viali di Milano. Il cane si ferma a pisciare sul palo di un semaforo. Leonardo si accende una sigaretta e raggiunge il bar di Viale Monte Nero con una decina di minuti di anticipo. Si siede all’esterno del locale e lega il cane a una gamba del tavolino. Nell’attesa ordina un caffè, pur sapendo che lo renderà ancora più nervoso.
«Vedo che ti sei portato anche la bestia».
La sua voce gli ricorda ancora un bagnoschiuma alle mandorle.
«È un cane e ha un nome» risponde, mentre lei si accomoda di fronte e chiama il cameriere con un cenno.
«Uno spritz. Aperol».
Sebbene sia passato più di un mese dall’ultima volta che l’ha vista, nella sua camicetta color pesca Erika non è cambiata. Non è cambiato nemmeno il tono milanese, un po’ arrogante, con cui ordina al bar.
Parlano di cose superficiali: bella giornata, vero?, ho saputo che tuo fratello si è laureato, come va con il lavoro?, ho visto Marco giusto settimana scorsa, i tuoi tutto bene?. Poi Leonardo fa un respiro profondo.
«Ogni tanto mi torna in mente la scena di Pulp Fiction quando Mia e Vincent sono al pub insieme. Perché sentiamo l’esigenza di chiacchierare di puttanate per sentirci più a nostro agio? Tu per me sei stata la persona con cui potevo chiudere la cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace».
Non gli è venuta proprio come l’aveva provata a casa, ma è comunque soddisfatto.
«E invece – replica lei – guardiamoci ora: siamo qui a parlare del niente per evitare un silenzio che ci metterebbe a disagio. Le cose cambiano, Leonardo».
Iggy si alza da terra, si sgranchisce le zampe e le annusa i piedi. Erika lo scalcia via.
«Non ho mai sopportato il tuo cane».
«Se non altro lui non mi abbandonerà mai per un altro».
Erika sospira, scocciata.
«Sei patetico. Mi dici perché hai voluto vedermi?».
«Non lo so. Forse speravo di esserti mancato e che avessi cambiato idea».
Lei lo guarda da sotto gli occhiali da sole.
«Mi sei mancato. Mi sono mancate le nostre cose. Ma mi sono anche accorta che a mancarmi non eri tu, ma l’idea che avevo di te».
Leonardo si rigira tra le mani la tazzina vuota del caffè, mescolando nervosamente il fondo di zucchero con il cucchiaino.
«Gradite altro?».
La voce del cameriere interrompe la conversazione. È quasi ora di pranzo e quello è il segnale: se volete potete fermarvi a mangiare, altrimenti liberate il tavolo. Rifiutano e ognuno paga il suo conto. Lui slega Iggy, lei lo ignora: non è mai riuscita ad affezionarsi a quel cane che deve il nome alla passione adolescenziale del suo padrone per Iggy Pop.
Si avviano a piedi verso la metro, a Porta Romana.
«È stato bello rivederti, Leonardo».
Con la mano libera, lui le prende un braccio e la guarda negli occhi senza dire niente. Il tempo si ferma. Leonardo è sicuro: la scintilla c’è ancora. Si avvicina, schiude le labbra e la bacia. Erika finge di opporsi, poi si lascia andare.
«N-non possiamo» balbetta lei quando staccano le labbra.
«Sai di ciliegia e di rimpianto».
La bacia di nuovo. Se nel primo bacio c’erano foga e passione, nel secondo misura e delicatezza. Ed è allora che lei capisce.
Riprendono a camminare lasciandosi Porta Romana alle spalle lungo viale Sabotino che diventa già Bligny. Parlano poco mentre masticano i metri. Arrivano sotto casa di Leonardo.
«Non so se è la cosa migliore da fare».
«Ma forse è quella giusta».
Lei non obietta. Salgono di corsa le tre rampe di scale e arrivano davanti alla porta d’ingresso con il fiato corto. Entrano e Iggy, finalmente libero dal guinzaglio, trotterella verso la ciotola dell’acqua, in cucina. Non ha ancora iniziato a bere che il suo padrone ha già sbottonato la camicetta color pesca e spinge Erika contro la parete del soggiorno tenendola per i fianchi esili. Si spostano in camera da letto. Lei sale sopra di lui e ondeggia piano e geme e ansima. Scopano proprio come una volta.
Appena fuori dalla porta della camera, fermo sulla soglia, con il sopracciglio alzato e quella ridicola espressione interrogativa stampata sul muso da beagle di tre anni, Iggy li guarda. Resta immobile per qualche secondo, poi fa dietrofront e se ne va.