Il viso di Eva si contrae per il bruciore della ferita. Anche il sole brucia, imponente, contro i gusci vuoti delle case, sull’asfalto silenzioso; pare che non pioverà mai più.
“Ti ricordi l’ultima volta che ha piovuto?” domanda. “Ahi, fa male.”
Nadia stacca il batuffolo di cotone da quel sopracciglio spaccato, guarda l’impronta confusa del sangue, cerca come in una piccola sindone il senso di quello che sta facendo. Non capisce più le ragioni del presente. Ma è rimasto solo quello, il presente.
“L’ultima volta… dipende.”
“Quanti esseri umani servono a registrare un evento?”
“Non lo so. Forse, se si mettesse a piovere adesso, noi non saremmo abbastanza.”
Eva si guarda intorno. La casa puzza di troppe cose tutte insieme: le briciole putride tra gli incastri delle mattonelle, le muffe che sono spuntate agli angoli del soffitto, qualche residuo di pianta; e fuori, sull’asfalto silenzioso che il sole arrostisce, un tappeto di decomposizione e di morte.
Tanto concime che la Terra non vuole neanche più.
“Devi stare attenta a dove cerchi provviste” dice Nadia, mentre studia le ferite di quella ragazza olivastra, vestita a brandelli. Le parla con voce intima, di madre; cerca di tenerle, con quelle parole, una coperta sugli occhi. Ha paura che il futuro anche brevissimo che è nel suo sguardo si spenga come è già accaduto al suo.
“È tutto marcio. Non capisco cosa abbiamo da respirare.”
Eva afferra la mano della donna, ricorda la prima volta che l’ha incontrata. Aveva i capelli corti e indossava vestiti comodi, ma non trasandati; osservava molto, parlava poco. I suoi ragionamenti erano dei più lucidi che avesse mai ascoltato. Nadia era un’antropologa, quando ancora aveva senso essere qualcosa.
“Non c’è più nessuno, Nadia. Non si muove più nulla, neanche il vento. Niente.”
“La cosa peggiore” dice la donna “è che potrebbe esserci altra gente immune al virus, magari in Egitto, in Australia.”
“Però noi non lo possiamo sapere. Non possiamo neanche raggiungere l’altra parte della città.”
“Già, come vedi il concetto di universo è piuttosto relativo. Il nostro mondo è determinato dal nostro ridotto raggio di azione.”
“Siamo delle formiche, eh?”
“Materialmente, sì. Il problema è che continuiamo a pensare col cervello evoluto di chi ha conosciuto gli aerei, internet, la penicillina…”
Nadia si interrompe, sulla parete di fronte a lei è sopravvissuta una riproduzione della Danza di Matisse. Mentre stringe più forte la mano di Eva, si rende conto che il girotondo può esserci solo se partecipano almeno un paio di persone.
Nadia capisce che adesso sono intrecciate, loro due, al punto da avere il potere di fermare l’una la danza dell’altra. E se taglia il filo sbagliato? Lei vorrebbe soffiare sulla vita come su una candela. Mandare entrambe a dormire, chissà dove. Ora che ci pensa, non sa se c’è un dove. Non ci sono più ricordi da abitare. Eva è così giovane, non può reggere il peso di niente.
Eva avverte quei pensieri dal troppo silenzio. Scoppia in un pianto senza lacrime, una sequela di vagiti di cui però si stanca presto, arenandosi con la testa sul fianco della donna. La stringe come se fosse sua madre e invece è solo l’ultima donna sulla terra. Una specie di madre alla rovescia, connessa non alla nascita, ma alla morte.
“Hai il diritto di uccidermi brutalmente. Di farmi a pezzi. Sai di averlo.”
“Siamo un po’ troppo vissute per certi bisticci mondani.”
Vissute, pensa la donna, è la parola esatta. Non vive, non viventi. Vissute.
La ragazza continua: “Lui ti ha sempre amata. Io ero un gioco, una distrazione. Un cliché da ambiente universitario. Ma lui…”
“Eva, di che stai parlando?” Nadia prova un enorme senso di fatica. “Non ha alcun senso. Vuoi sapere se per me sei l’amante di mio marito?”
La ragazza annuisce, la guancia ancora impressa sul fianco della donna.
Nadia bacia la fronte di Eva e la lacrima che le scende lungo il viso un attimo dopo. Entrambe sentono che quello che hanno adesso è l’ultima traccia del passaggio degli uomini. Forse è proprio quello il momento giusto di lasciarsi le mani.
Si osservano a fondo, finché non si sente il vetro della finestra andare in pezzi.
Aleggia la morte come un traguardo, l’amore è un collante tra la nascita e rinascita. Si cerca redenzione come un male necessario.
Sensazione meravigliosa, Fosca è un talento.