(ispirato a Bernard Palissy, 1510-1590 c.)
Lo mandarono a chiamare poiché era conosciuto come uomo d’ingegno e artista in grado di costruire meraviglie.
È il Duca, gli dissero, che ti vuole per una questione molto importante.
Bernard si guardò attorno come se volessero strapparlo per sempre al suo adorato studio, alle ceramiche: provava a imprimersi nella memoria quell’ambiente familiare, in modo da avere comunque un punto di forza nascosto nell’animo, una leva per sopportare l’incombenza che sicuramente sarebbe stata sgradevole e difficile.
La guerra durava da una moltitudine di anni. Si discuteva talvolta, nelle osterie ancora aperte, su quale fosse stato l’inizio, se mai si può dire di una guerra che abbia avuto un inizio e non semplicemente un precipitare di cause perlopiù segrete, formalizzate a favore dell’opinione pubblica in un inizio inventato. Ma neppure il casus belli tornava alla memoria dei più, e comunque ricordarlo non avrebbe fatto nessuna differenza: la guerra c’era, durava, stancava.
Appena entrato nella grande sala, Bernard fu colpito dal nervosismo che regnava fra i notabili intorno al Duca, e dall’aspetto cupo di quest’ultimo. Il Duca era nervoso e cacciò tutti non appena lo vide. Bernard s’inchinò e attese, mentre vibravano le luci dei candelabri. Infine il Duca ruppe il silenzio e comunicò a Bernard Palissy che il paese sarebbe presto caduto nelle mani degli invasori, e con esso la capitale, a meno che non si fosse trovata un’opera d’ingegno militare talmente efficace da difenderla e da convincere il nemico a rinunciare all’assedio.
Il popolo è a conoscenza di questo definitivo pericolo? Chiese Bernard.
No, il popolo non sa nulla. E non lo deve sapere.
Bernard annuì.
Qualcosa! Portami qualcosa che funzioni! Un’idea, una delle tue idee meravigliose… A cosa serve essere artisti se non si può salvare il proprio popolo?
Bernard annuì di nuovo. Disse che ci poteva provare, poteva tentare di escogitare qualche nuova arma di difesa, ma avrebbe avuto bisogno di tempo e tranquillità per condurre le sue ricerche.
Il Duca sospirò. Di tempo non ce n’era, o comunque molto poco. D’altra parte quale altra possibilità aveva? Torturare Bernard per fargli venire prima un’idea? Purtroppo non sarebbe stato possibile. Si poteva torturare tutti per ottenere tutto, ma era difficile torturare qualcuno per ottenere una buona idea, soprattutto se questo qualcuno era in primo luogo un artista. Licenziò Bernard: che andasse al più presto a pensare, a ricercare… a fare tutto quel diavolo che doveva fare, non gli importava, purché tornasse con un’idea che potesse salvare la città dall’assedio. Bisognava essere pratici, perdio!
Bernard se ne andò.
Nei giorni successivi si chiuse nel suo studio, interruppe i lavori che stava portando a termine per la propria gioia e si dedicò esclusivamente a progettare un’opera difensiva che rendesse la capitale inattaccabile. Prese molti appunti, disegnò molti schizzi di mura e di torri, trovava sempre punti deboli. Esausto si buttava sul letto, pensando a quale idea lo avrebbe salvato. Il tempo stringeva, e forse la soluzione era portare un progetto che, per quanto non perfetto, potesse in ogni caso essere messo in campo e magari, chissà, con un po’ di fortuna… No, no, no! Furioso con se stesso Bernard si alzò di scatto e con una manata buttò in terra l’ultima porcellana alla quale stava lavorando. I pezzi dell’opera si sparsero sul pavimento di pietra. Era un piatto che conteneva, mirabilmente eseguiti, una salamandra e alcune erbe, colorato in modo da rendere il luccicchio dell’erba e della pelle viscosa dell’animale. I frammenti mantenevano la loro lucentezza anche sulle pietre del pavimento, ma l’anima dell’opera, quella sottile felicità di qualcosa di compiuto bene, era andata perduta, scivolata via di nuovo nel non fatto, non raggiunto, non ottenuto, non fermato. Bernard si sedette affranto, privo di forze. La città sarebbe stata presto conquistata, ormai la capacità di difesa e di reazione era ridotta a pura apparenza, la popolazione non si sarebbe neppure resa conto dell’abisso nel quale sarebbe precipitata, ormai troppo assuefatta all’infinito assedio per credere davvero che si sarebbe giunti a una fine di tutto. Non sarebbero stati in grado di combattere davvero per salvare la propria vita, non era un’opzione alla quale si fossero preparati con consapevolezza. Occorreva progettare una difesa che proteggesse la città grazie alla sua essenza di città, e di quella unicamente. Una difesa architettonica che permettesse agli esseri umani di risvegliarsi dallo stato di dormiveglia in cui li aveva affondati l’interminabile assedio, e li costringesse a conquistare il punto della situazione.
Bernard si buttava sul materasso duro, si rialzava subito, andava alla finestra; gettava occhiate inquiete sul suo lavoro, le perfette e magiche ceramiche per le quali aveva inventato una miscela ben calibrata di epidermide cristallina e lucore. Quei piccoli universi così perfettamente conclusi eppure caotici e aperti, quei piatti che servivano alla sua estasiata clientela la perfezione della morte e il luccichio della vitalità sottesa alle forme, ai materiali, ai colori. Tutto inutilizzabile, nel frangente che adesso si trovava a dover affrontare. La sua fama di ideatore, solutore di problemi tecnici e costruttore di materiali inediti lo aveva messo in una situazione paradossale: si chiedeva a lui, artista, cioè maestro in un’arte, di sconfiggere l’inerzia lunghissima di una città, di un intero regno, di fronte alle spallate della Storia. Lui che con lungo apprendistato aveva sviluppato metodi su metodi per venire a capo della sua propria inerzia, avrebbe dovuto adesso aiutare un’intera città a risolvere in urgenza l’apprendistato di una vita.
Abbandonò lo studio e a lunghi passi nervosi si diresse verso la scogliera, dove, in un aggrottarsi e ingolarsi, le altezze rocciose precipitavano fino a una bassa riva che diventava brevemente sabbiosa per poi lasciarsi divorare nuovamente dai marosi. Folate di vento sbattevano la terra e sollevavano polvere, nuvolaglie alle spalle della città annunciavano, nascondendo le armate infinite, la sconfitta. Bernard scrollò le spalle, qualcosa devo pur portare al Duca, si disse. E fu allora, nel mezzo di quella disperata riflessione, che vide, nel fazzoletto di sabbia che rientrava, protetto, dalla furia delle ondate, un nautilus arenato. Le forme incantatorie di quella perfezione naturale lo fecero desistere da ogni altra riflessione. Si calò sulla spiaggetta e raccolse la conchiglia, con lo stupore infantile e scientifico che sempre lo prendeva di fronte a talune forme naturali. La osservò a lungo, mentre i venti tentavano inutilmente di calarsi fino a quella conca naturale e il livore del cielo si gonfiava sempre più mescolandosi all’oscurità incombente della notte. Ecco, si disse infine, la forma che proporrò al Duca. Ecco, la soluzione, l’unica soluzione possibile.
Di ritorno nel suo studio disegnò un buon numero di progetti, dettagliò misure e quantità, argomentò in brevi testi esplicativi la sua idea. La città-conchiglia, un progetto di difesa naturale del territorio e della cittadella che non ostacolasse il nemico, ma lo convogliasse, attacco dopo attacco, sempre più addentro in una circonvoluzione che avrebbe raggiunto solo da ultimo il centro. A ogni tappa ci sarebbero stati dei combattimenti, ma soprattutto la possibilità di ritirarsi sempre più in profondità, finché il nemico si sarebbe trovato intrappolato in un circuito spiraliforme che lo avrebbe consumato e progressivamente annullato.
Quella notte Bernard riuscì a dormire in modo tranquillo e sufficientemente a lungo. Aveva risolto il problema che gli era stato posto, e lo aveva risolto nel modo migliore, cioè seguendo una forma sperimentata da millenni da un abitante degli abissi.
Il giorno seguente portò le sue conclusioni al Duca. Spiegò le teoria e la pratica di quella soluzione che, unica, avrebbe permesso, al punto in cui si trovavano, di salvare il salvabile della città, senza arrendersi al nemico.
Il Duca ascoltò con attenzione tutte le parole di Bernard, osservò i suoi disegni, rimase in silenzio a valutare la proposta. Poi disse semplicemente, alzando il suo terribile sguardo azzurro e abissale sull’artista: e l’ultimo che rimarrà, al fondo di tutta la mastodontica spirale che costruiremo, chi sarà, Bernard?
Bernard rispose, in un soffio: il costruttore ultimo della spirale, mio Duca.
bello, bello, bello……come sempre ci porti in un mondo fantastico che rispecchia in tutto la realtà nella quale siamo drammaticamente e inconsapevolmente scivolati…la tua scrittura, sempre limpida ed al contempo onirica, porta sempre occasione di riflessione;
chissà se per questa nostra umanità anestetizzata ed inerme potrà arrivare ancora una un nautilus salvatore….
Grazie, Luana!
Bello. Questo racconto mi ha ispirato a inviarne uno mio, infliggendolo alla redazione di Micorrize. Un saluto.
Bene!
Molto interessante , come diceva Esher :”Solo coloro che tentano l’assurdo, raggiungono l’impossibile”.
Che meravigliosa metafora del mondo attuale brava!!
Molte grazie, Benedetta!